VUOI PARLARE? IMPARA AD ASCOLTARE

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Ci sono migliaia di corsi che parlano di comunicazione efficace e qualche milione di libri che spiegano come diventare degli ottimi comunicatori.

Tra questi ci sono anche molte aree riservate ai genitori, visto che uno dei motivi di maggiore conflitto con i figli è proprio determinato da difficoltà comunicative.

E allora ecco l’esperto di turno a parlare degli ultimi ritrovati per usare la voce in un certo modo per farsi ascoltare; oppure quello che ti dice che le parole non contano nulla, ma contano i gesti.

Ma in tutto questo troppo spesso vengono dimenticati 2 strumenti fondamentali: LE ORECCHIE!  

Caspita si parla tantissimo degli occhi, si parla tantissimo della bocca, ma le orecchie sembrano un organo di “serie B”. Non so per quale motivo siano tanto bistrattate, ma di certo sono considerate il minimo indispensabile… J

E infatti cosa capita nella maggior parte delle famiglie? Mamma (soprattutto) e papà parlano parlano parlano.

Chiedono!

Fanno prediche!

Vogliono risposte!

Ma… NON ASCOLTANO! O almeno troppo spesso non ascoltano.

Così oggi ho deciso che darò la giusta importanza alle orecchie e ti parlerò CONCRETAMENTE di ascolto.

I genitori che seguono il nostro percorso W la dislessia! possono testimoniarti che di ascolto parlo costantemente, a costo di diventare antipatico.

Senza ascolto non puoi parlare con un senso e rischi di dare solo fiato alla bocca.

Senza sentirsi DAVVERO ascoltato tuo figlio perderà la voglia, magari già poca, di raccontarti cosa gli succede, non solo a scuola, ma anche nella vita.

Quindi, se vuoi questo non ti rimane che chiudere le orecchie ed aprire la bocca: il risultato arriverà IMMEDIATO!

Ma siccome, se stai leggendo questo articolo, immagino tu voglia qualcosa di diverso, allora drizza le antenne (le orecchie se qualcuno te lo sta leggendo…).

In questi anni mi sono molto appassionato agli studi condotti da Carl Rogers e dal suo allievo Thomas Gordon, vedendo in loro la maniera più semplice per comprendere le relazioni tra genitori e figli, ma non solo.

Carl Rogers è stato il primo psicologo a non parlare di pazienti e già per questo per me ha vinto.

Thomas Gordon ha dato all’ascolto il ruolo che davvero gli appartiene, ma non solo: ha anche discusso e trattato riguardo le grosse problematiche comunicative che possono nascere in una relazione familiare.

Ma torniamo a noi, quante volte ti è capitato di voler dare un aiuto o un consiglio a tuo figlio? E quante volte questa cosa non è stata apprezzata?

Immagino un po’ di volte, no?

Quante altre volte sei intervenuto per dare suggerimenti, basati magari sulla tua esperienza di vita?

E anche qui: quante volte non sei stato apprezzato?

Il motivo è che, senza saperlo, con questi atteggiamenti che sono pieni di BUONE INTENZIONI, stai in realtà creando dei blocchi comunicativi, più di quanti tu possa immaginare.

Gordon li definisce addirittura “metodi tradizionali di aiuto” e trovo bizzarro pensare che in realtà un boomerang che ti si rivolge contro.

Sono ben 12 queste attività che condizionano il tuo rapporto con tuo figlio:

  1. dare ordini, comandare, dirigere;
  2. minacciare, ammonire, mettere in guardia;
  3. moralizzare, far prediche (capita mai?);
  4. offrire soluzioni, consigli, avvertimenti;
  5. argomentare, persuadere con la logica;
  6. giudicare, criticare, biasimare;
  7. fare apprezzamenti, manifestare compiacimento;
  8. ridicolizzare, etichettare, usare frasi fatte;
  9. interpretare, analizzare, diagnosticare;
  10. rassicurare, consolare (in maniera ovviamente esagerata);
  11. indagare, investigare;
  12. cambiare argomento, minimizzare, ironizzare.

Ce ne sono alcune che creano veramente un sacco di casini, ad esempio l’ultima: se minimizzi i problemi di tuo figlio non fai altro che farlo sentire inadeguato.

Allo stesso tempo le prediche non faranno che allontanarlo da te, ma questo in fondo ormai lo sai.

Eppure a volte determinati comportamenti sono così automatici che non riesci a cambiarli, ecco perché ti ricordo queste cose nei miei articoli.

Ma in fondo non è nemmeno totalmente responsabilità tua, ma dell’ambiente in cui sei cresciuto, dell’educazione che hai ricevuto.

Ognuno di noi ha influenze del proprio passato, però puoi scegliere di cambiare le cose.

Allora se vuoi aiutare tuo figlio devi metterti nella condizione di:

  • Non creare blocchi comunicativi;
  • Desiderare davvero di ascoltarlo con interesse sincero.

Carl Rogers ha codificato 3 caratteristiche fondamentali senza le quali tu non puoi in nessun modo aiutare tuo figlio:

  1. Accetta tuo figlio: lascialo essere quello che è, con il suo modo di pensare, sentire, parlare e agire. Non chiedergli di essere diverso o di cambiare i suoi sentimenti.
  2. Entra in empatia con lui: Comprendilo davvero, prova a intuire i suoi veri sentimenti, fagli capire che lo stai ascoltando con attenzione reale. Essere empatico non significa essere accomodante o simpatico ad ogni costo. Significa sapersi mettere nei panni degli altri (in questo caso di tuo figlio) e comunicargli che stai davvero comprendendo la sua esperienza.
  3. Sii sincero: non conta il tuo ruolo di genitore in questo momento. Metti davanti al tuo ruolo la tua sincerità, la tua onestà e la tua genuinità.

Se riesci a mettere insieme queste 3 caratteristiche sarai davvero in grado di ascoltare in maniera attiva.

A questo punto, però, potresti dirmi, ma cos’è davvero questo ASCOLTO ATTIVO?

La prima cosa che mi viene in mente di dirti è che non è una tecnica, ma realmente un modo di essere. Ci sono delle strategie, ovviamente, ma prima di tutto conta la tua intenzione di metterti davvero nella condizione dell’ascoltatore ATTENTO.

L’Ascolto Attivo è l’abilità che meglio riassume le tre caratteristiche di Rogers che ti ho descritto prima: accettazione, empatia, essere sinceri.

Attraverso l’ascolto attivo tuo figlio può capire davvero che lo ascolti e gli puoi dare modo di verificare se e quanto avete compreso il suo messaggio. Quindi se hai perso dei passaggi o ti sei distratto un secondo (è umano) chiedi se ti può ripetere quel concetto. Devi assicurarti di aver capito bene di cosa ti sta parlando.

Per permetterti di ascoltare in maniera attiva non hai alternative:

DEVI METTERTI NEI PANNI DI TUO FIGLIO e ascoltare davvero i suoi pensieri e le emozioni che sta provando, accogliendo quello che ti dice anche con calore se serve, ma di sicuro con grande accettazione.

In questo modo tuo figlio si sente ascoltato e tu non dici stupidaggini perché sei andato avanti con i tuoi pensieri.

Ricordati che la tua dannazione è quello che definisco SINDROME DA PILOTA AUTOMATICO:

ovvero non stai ascoltando per ascoltare, ma per rispondere!

E se ascolti per rispondere, ti svelo un segreto, non stai ascoltando davvero, ma stai cogliendo solo quei pezzi di discorso che sono utili alla tua risposta.

E alla lunga questa cosa viene percepita da tuo figlio, che non a caso si sentirà NON ASCOLTATO.

DIPENDE DA TE! Dipende da te avere il coraggio di dire, se non hai tempo per ascoltare davvero: “Scusa amore, adesso non riesco davvero a darti la giusta attenzione, possiamo parlarne tra 10 minuti quando avrò finito?”

Funziona molto di più rispetto a dirgli “sì… sì… uhm… beh…” mentre stai facendo dell’altro. Per capire quanto possa essere fastidioso immagina di essere davanti ad una persona che fa finta di ascoltarti, ma che ti accorgi subito che in realtà sta pensando ad altro.

Poi sono sicuro che se si tratta di una questione di “vita o di morte” mollerai di sicuro quello che stai facendo perché passerà in secondo piano.

Io parlo però di quei piccoli momenti in cui dai ascolto perché lo devi fare e non perché desideri davvero farlo. Quegli ascolti non interessati davvero perché sei in mezzo all’operatività di tutti i giorni sono quelli “dannosi

Ah ultimo segreto: STAI ZITTO! Funziona e se vuoi vedere il mio video in cui ne parlo clicca qui: https://www.youtube.com/watch?v=E3c5IPKhW5s

“Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.” – Denis Waitley

A presto!

Alessandro

 

 

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