Il recente rapporto INVALSI ci mette davanti a un dato brutale:
📉 il 50% degli studenti che escono dalla scuola superiore non possiede le competenze minime in italiano e matematica.
Cosa significa?
Significa che un ragazzo su due non è in grado di comprendere a fondo un testo scritto, fare un ragionamento matematico di base, o leggere in modo critico un’informazione.
Un ragazzo su due, al termine del ciclo scolastico, non ha gli strumenti per affrontare la complessità del mondo.
E questo è un problema che riguarda tutti. Anche – e forse soprattutto – chi ogni giorno si impegna perché la scuola sia più equa, più accessibile, più inclusiva.
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Il problema non sono i ragazzi (e nemmeno gli insegnanti, non sempre almeno)
Non stiamo parlando di ragazzi “poco studiosi”, “demotivati” o “svogliati”.
E non stiamo parlando di una responsabilità che si possa scaricare sugli insegnanti, che anzi spesso sono la prima barriera tra lo studente e l’abbandono scolastico.
🧭 Il problema è più profondo: è sistemico.
È il modello di scuola che si è incrinato.
Un modello che premia chi apprende in un solo modo, che si misura quasi esclusivamente in termini di voti, e che continua a ignorare la varietà dei profili cognitivi, emotivi e culturali dei nostri ragazzi.
Per chi lavora con studenti con disturbi specifici dell’apprendimento, tutto questo è fin troppo familiare.
Ma oggi il sistema non fallisce solo con chi ha bisogni educativi speciali: fallisce anche con chi, in teoria, non dovrebbe averne.
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Un dato che ci riguarda tutti
Noi che ci occupiamo di dislessia, di accessibilità didattica, di personalizzazione dei percorsi scolastici, sappiamo bene quanto sia difficile per una famiglia sentirsi ascoltata, accolta, sostenuta.
Ma il dato INVALSI ci dice che la scuola sta perdendo anche gli studenti senza difficoltà diagnosticate.
E allora, se metà degli studenti non ce la fa, forse il problema non è negli studenti. È nel sistema.
La scuola oggi non riesce più a garantire nemmeno l’alfabetizzazione di base.
E quando diciamo “alfabetizzazione”, non parliamo solo di grammatica o calcoli.
Parliamo della capacità di:
•leggere un testo e capire cosa dice davvero
•distinguere un fatto da un’opinione
•gestire la realtà quotidiana con strumenti cognitivi efficaci
•prendere decisioni consapevoli, autonome, libere
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Il vero rischio: adulti che non capiscono il mondo
Se metà dei ragazzi diplomati non sa comprendere un testo o fare due conti,
come possiamo aspettarci che sappiano comprendere il mondo in cui vivono?
📺 Come possono orientarsi tra le notizie, le fake news, le scelte politiche?
💰 Come possono gestire il lavoro, un contratto, un mutuo?
🗳️ Come possono votare in modo davvero consapevole?
La comprensione della realtà è il prerequisito dell’autonomia.
Chi non capisce, delega. O peggio: rinuncia.
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No, non servono eroi. E nemmeno miracoli.
Ma servono alcune cose, urgentemente:
•📌 Formazione mirata e continua per i docenti
•📌 Risorse stabili per la personalizzazione della didattica
•📌 Riduzione del numero di studenti per classe
•📌 Un’idea diversa di valutazione: più orientata al processo che al punteggio
•📌 Più tempo scuola, e più tempo per ascoltare
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E che facciamo allora?
Se oggi metà dei nostri ragazzi non riesce a comprendere bene ciò che legge, non possiamo più permetterci di considerarlo un fatto “normale”.
È un problema educativo, certo.
Ma è anche un problema sociale, politico, culturale.
E per chi lavora con bambini e ragazzi con difficoltà di apprendimento, questo non può essere ignorato.
Perché se il sistema non regge più nemmeno i “forti”, cosa succede ai fragili?
📣 È tempo di rimettere al centro il diritto a comprendere.
Per tutti. Nessuno escluso.
Alessandro