Qualche tempo fa, durante una cena tra amici, mi ha colpito una scena semplice ma potente: una bambina, con naturalezza e grande entusiasmo, mostrava le sue foto scattate mentre era a cavallo. Nulla di straordinario, forse. Eppure, mentre armeggiava con uno smartphone in modo disinvolto, mi è sorta una domanda: chi le ha insegnato a fare tutto questo?
Probabilmente nessuno. O meglio: ha appreso da sola. Spinta dalla curiosità, dalla voglia di condividere, dalla gioia dell’esperienza.
E proprio qui nasce la riflessione che voglio condividere: quando, come e perché impariamo davvero? E qual è il ruolo di chi, nella scuola o nella vita, si occupa di “insegnare”?
🧠 L’apprendimento non si insegna
L’apprendimento non è un processo passivo. Non avviene solo perché ci viene detto cosa sapere, ma quando qualcosa ci smuove dentro.
“L’apprendimento avviene quando qualcosa di esterno provoca un cambiamento interno.”
In altre parole, imparare significa attraversare una crisi positiva, un piccolo momento di disequilibrio che ci obbliga a riorganizzare ciò che pensiamo, sentiamo o crediamo.
L’apprendimento vero e significativo:
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è attivo e personale
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è frutto di una scelta consapevole
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nasce dall’esperienza e dal contesto culturale
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avviene spesso in modo non lineare: per salti, errori, interruzioni, dubbi
È un percorso fatto di demolizioni e ricostruzioni: lasciamo andare vecchie convinzioni per fare spazio a nuove idee, nuove competenze, nuove visioni del mondo.
🎯 Il ruolo dell’insegnamento
Se è vero che nessuno può apprendere al posto nostro, allora insegnare non può essere solo trasmettere contenuti.
Chi insegna – a scuola, a casa, nella vita – ha il delicato compito di creare le condizioni perché quell’apprendimento possa avvenire.
Questo significa:
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proporre esperienze che coinvolgano davvero
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stimolare domande più che dare risposte
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offrire ambienti in cui ci si possa esprimere senza paura
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saper ascoltare profondamente
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non temere i momenti di crisi, ma riconoscerli come opportunità
Insegnare, in questa visione, diventa un atto di relazione: non un trasferimento, ma una co-costruzione.
🗣️ L’ascolto come competenza educativa
In questo scenario, una delle abilità più importanti dell’educatore non è solo la padronanza della materia, ma la capacità di ascoltare.
Saper ascoltare significa:
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riconoscere il momento in cui l’altro è pronto per apprendere
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cogliere segnali non verbali, emozioni, esitazioni
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sintonizzarsi sui bisogni e sulle potenzialità dell’alunno
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creare uno spazio di fiducia reciproca
Come ricorda una vecchia saggezza popolare:
“Abbiamo due orecchie e una sola bocca per ascoltare il doppio di quanto parliamo.”
⏳ Quanto tempo resta ai bambini per essere?
Una riflessione importante riguarda il tempo reale che i bambini hanno per sé stessi. Non per studiare, non per seguire regole, ma per esplorare liberamente il mondo, la noia, la creatività.
I numeri parlano chiaro:
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In una settimana ci sono 168 ore
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I bambini ne dedicano circa 56 al sonno
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Restano 112 ore di tempo “attivo”
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Di queste, circa 55 ore vengono assorbite da schermi (TV, social, videogiochi), secondo vari sondaggi internazionali
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Restano 57 ore
Ora consideriamo:
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30 ore a scuola
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8 ore per prepararsi e per gli spostamenti casa-scuola
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7 ore di compiti a casa
Totale: 45 ore strutturate e sorvegliate
Quindi il tempo “libero” personale scende a 12 ore settimanali. Ma se aggiungiamo 3 ore settimanali per i pasti principali, ne restano 9 ore nette.
9 ore. Poco più di 1 ora al giorno per:
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giocare liberamente
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esprimersi
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esplorare
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annoiarsi (che è fondamentale per la creatività!)
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conoscersi
È un numero impressionante. E preoccupante.
📚 Il pensiero di John Taylor Gatto
Questa analisi trova eco nelle parole di John Taylor Gatto, ex insegnante statunitense e autore del celebre libro “Dumbing Us Down”, in cui critica profondamente il sistema scolastico moderno.
Gatto sosteneva che:
“La scuola, così come è strutturata oggi, toglie ai bambini la possibilità di imparare davvero chi sono.”
Secondo Gatto, il tempo scolastico è troppo pieno, troppo diretto, troppo standardizzato. I bambini vengono costantemente sorvegliati, direzionati e valutati, e questo impedisce loro di sviluppare autonomia, pensiero critico, e soprattutto una relazione autentica con la conoscenza.
💡 Cosa possiamo fare (tutti)?
Non dobbiamo per forza stravolgere il sistema. Ma possiamo cambiare approccio, a partire da noi.
Ecco 5 principi guida che possono fare la differenza:
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🤓 Mettiti sempre nella condizione di imparare, anche se sei tu a dover insegnare
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❌ Sospendi il ruolo dell’esperto quando chi hai davanti è in difficoltà
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❤️ Ricorda cosa ti ha spinto a fare questo lavoro: l’emozione iniziale è una bussola
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🔓 Allena te stesso e gli altri alla libertà, alla curiosità, alla responsabilità
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🔍 Guarda le cose da un punto di vista diverso: è lì che nasce l’innovazione
🌿 In conclusione
Non si tratta solo di “insegnare”, ma di coltivare ambienti in cui sia possibile apprendere davvero.
Dove si possa sbagliare, esplorare, creare connessioni e costruire significati.
E forse la vera domanda non è:
“Cosa devono imparare i bambini?”
Ma:
“Come possiamo far sì che non smettano mai di voler imparare?”
“Lo scopo dell’apprendimento è la crescita, e la nostra mente, a differenza del nostro corpo, può continuare a crescere fintanto che continuiamo a vivere.”
— Mortimer J. Adler
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Alessandro